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Diantonio

Batteri: una minaccia per la fertilità maschile

Nel mondo sono tantissime le coppie che non riescono ad avere figli. Le cause di questo avvenimento sono principalmente 3:

  • infertilità maschile;
  • infertilità femminile;
  • infertilità di coppia.

Circa il 50% dei casi è da attribuirsi alla prima causa.

Qual è la fonte dell’infertilità maschile?

I fattori che possono condurre a un danno dei tessuti del sistema riproduttivo maschile e alla conseguente infertilità sono molteplici:

  • salute dell’individuo;
  • abitudini e ambiente;
  • patologie specifiche;
  • infezioni batteriche o virali.

Quest’ultima causa è alla base del 10% dei casi di infertilità nei paesi maggiormente sviluppati e circa del 50% in paesi in via di sviluppo.

Come può un batterio causare l’infertilità nell’uomo?

I batteri sono dei parassiti che occupano quotidianamente il nostro organismo, il quale, al fine di difendersi, adotta una serie di strategie atte a eliminare il patogeno indesiderato.

Quando un batterio si insinua nel sistema riproduttivo maschile le cellule di questi tessuti mettono in atto due principali risposte:

  • stress ossidativo: condizione in cui viene spezzato l’equilibrio fisiologico tra distruzione e formazione di particelle ossidanti;
  • autofagia, processo in cui le cellule degradano proteine e componenti citoplasmatici, con l’obiettivo di sostenere la risposta immunitaria.

Lo stress ossidativo risulta essere una valida risposta contro i patogeni, ma quando questa condizione persiste (nel caso in cui i batteri risultino molto resistenti) si ottengono danni alle gonadi, che conducono principalmente a difetti genetici negli spermatozoi e a una scarsissima efficienza della spermatogenesi.

Quali sono i batteri più pericolosi per la salute riproduttiva maschile?

Tra i batteri che causano una risposta ossidativa più elevata vi sono:

  • Chlamydia trachomatis, responsabile della clamidia;
  • Neisseria gonorrhoeae, che provoca la gonorrea;
  • Escherichia coli, che è il più pericoloso.
Diantonio

Antiossidanti: una nuova cura per il Parkinson?

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa che comporta una perdita lenta ma progressiva del controllo dell’equilibrio e dei movimenti.

Questa malattia è classificata come appartenente alla famiglia dei Disordini del Movimento, di cui ne è la prevalente in numero di casi mondiali: si stima, infatti, che circa l’1% della popolazione mondiale con un’età che supera i 65 anni ne sia affetta.

Origine del disturbo

Gli studi effettuati su questa patologia sono molteplici, come si evince dai numerosi articoli scientifici presenti sull’argomento. Lo stress ossidativo, un processo che viene utilizzato normalmente dall’organismo per proteggersi dai patogeni, sembra svolgere un importante ruolo nello sviluppo della malattia, portando a diversi danni alla materia grigia del cervello, tra cui:

  • danni al DNA delle cellule cerebrali;
  • danni alle proteine, fondamentali per il corretto svolgimento di molteplici funzioni fisiologiche;
  • danni ai lipidi, componenti essenziali delle membrane cellulari e macromolecole fondamentali per l’efficienza degli impulsi nervosi.

Possibili rimedi

Molti studi oggi si concentrano sulla somministrazione di antiossidanti in pazienti affetti dal morbo di Parkinson, come la vitamina C, la vitamina E, il beta-carotene o nanoparticelle aventi funzioni antiossidanti.

Nonostante l’utilizzo degli antiossidanti per la cura del Parkinson sia in fase di studio, la loro integrazione corretta nella dieta quotidiana risulta fondamentale per la prevenzione della malattia.