Archivio degli autori antonio

Diantonio

Un amico per il successo: lo stress

Molto spesso ci capita di sentirci sopraffatti dal lavoro, dallo studio, dagli impegni familiari. Ci sentiamo vittime di una sorta di mostro infernale, pronto a sabotare la nostra vita e a prosciugare la nostra linfa vitale e le nostre energie: lo stress!

Eppure, evidenti studi scientifici condotti da Jeremy P. Jamieson indicano che, in realtà, i boicottatori del nostro successo siamo noi stessi o, per meglio dire:

  • la percezione che abbiamo dello stress;
  • la risposta che attuiamo in situazioni stressanti.

La psicologia influenza la fisiologia del nostro corpo

Immaginiamo due situazioni differenti in cui si sarebbe potuto trovare l’uomo preistorico:

  • scappare da un animale feroce;
  • cacciare un animale di grandi dimensioni.

In entrambi i casi, i suoi sintomi sarebbero stati gli stessi di quelli che noi proviamo quando dobbiamo affrontare una prova che consideriamo importante: sudorazione delle mani, battito cardiaco accelerato, fiato corto, ecc. In realtà, nelle due situazioni appena descritte, l’uomo preistorico avrebbe attuato due tipi di risposta differenti, rispettivamente:

  • risposta per paura: il cervello recepisce il pericolo e il corpo si prepara a ricevere eventuali danni, concentrando tutta la circolazione sanguigna nelle zone vitali;
  • risposta per sfida: il cervello prepara il corpo a vincere, pompando più sangue ai muscoli, offrendo la massima potenzialità all’organismo.

Il nostro organismo non è certo diverso da quello dell’uomo preistorico ed è per questo che gli scienziati si sono concentrati sullo studio della psicologia e della risposta allo stress.

Per il suo esperimento J. P. Jamieson ha selezionato 60 studenti intenzionati a conseguire il Graduate Record Examination (GRE) entro i 3 mesi successivi. Sono stati poi effettuati tre prelievi salivari per analizzare la concentrazione di alfa-amilasi salivare, in modo da valutare l’attivazione del sistema nervoso simpatico. Il primo prelievo è stato effettuato in condizioni normali. In seguito, gli studenti sono stati convocati per una simulazione del GRE, prima della quale è stato effettuato un secondo prelievo salivare, per poi dividere equamente gli studenti in due gruppi:

  • il primo gruppo è stato preparato ad affrontare il test, ricevendo informazioni esclusivamente sullo svolgimento della prova;
  • al secondo gruppo è stato, invece, detto che l’ansia e lo stress avrebbero migliorato le loro performance nel corso del test (risposta di sfida).

Il terzo prelievo salivare è avvenuto in seguito a questa diversa preparazione. I risultati ottenuti da questo esperimento hanno confermato la tesi di Jamieson: i ragazzi che erano stati preparati ad attuare una risposta di sfida allo stress hanno ottenuto punteggi del GRE più elevati, sia nel corso della simulazione che nella prova vera e propria. Inoltre, dai prelievi salivari è stata riscontrata una maggiore attivazione del sistema nervoso simpatico nel caso della risposta di sfida.

Conclusioni

In conclusione, modificare il nostro pensiero in merito alle sfide quotidiane può trasformare un qualcosa di nocivo in un mezzo che può ottimizzare le nostre capacità, portandoci a dare il meglio di noi stessi.

Diantonio

Disturbo da stress post-traumatico: il cortisolo fissa i ricordi

Le persone che vivono un trauma tentano poi di eliminare disperatamente i brutti ricordi, ma sembra che siano radicati nella mente e che nulla possa lavarli via. Tutto ciò conduce a un grave malessere dell’individuo, che può poi sfociare in casi clinici, come il disturbo da stress post-traumatico.

Numerosi scienziati negli ultimi anni si sono cimentati nello studio del rapporto tra stress acuto e controllo attivo della memoria: vi sono migliaia di articoli pubblicati da scienziati di tutto il mondo che tentano di spiegare questo fenomeno.

Lo stress acuto radica i ricordi nel cervello

Un interessante esperimento sugli effetti dello stress acuto sulla memoria attiva è stato effettuato in Germania da cinque esperti in neurofisiologia, psicologia e patopsicologia.

Ai fini dello studio sono stati selezionati 53 individui con un’età media di 25 anni, attentamente selezionati in base al periodo del ciclo mestruale (nel caso delle donne), dei farmaci assunti e del profilo psicologico.

Il gruppo preso in esame è stato diviso in due sottogruppi:

  • gruppo di controllo;
  • gruppo sottoposto alla condizione di stress.

La condizione di stress utilizzata per questo esperimento è stato il Trier Social Stress Test (TSST): consiste nel simulare un colloquio di lavoro dinanzi a esaminatori che non hanno la minima intenzione di rassicurare l’interlocutore ma, anzi, vengono ingaggiati con il compito di attuare un linguaggio del corpo che esprima ostilità (tenere le braccia incrociate, picchiettare sul pavimento con il piede, alzare lo sguardo, sospirare ripetutamente).

Procedimento

Tutti i candidati hanno dovuto memorizzare 33 coppie viso-parola: i 33 visi scelti erano tutti neutri e le 33 parole erano tutte tedesche e costituite da 5 lettere. I 33 stimoli sono stati presentati su uno schermo, ognuno per 4s per ciascun ciclo. In totale sono stati proiettati 4 cicli.

Successivamente, sono stati separati i due gruppi: il gruppo stress è stato sottoposto al TSST, mentre il gruppo controllo è passato direttamente alla fase successiva dell’esperimento.

Infine, ai candidati di entrambi i gruppi è stato chiesto di evitare qualsiasi tipo di associazione con i ricordi per 10 delle 33 coppie memorizzate in precedenza.

Conclusioni

Il gruppo di controllo è riuscito efficacemente a rimuovere dalla memoria le associazioni delle 10 coppie, contrariamente a quanto avvenuto con il gruppo di stress. Ciò è dovuto al fatto che il cortisolo va a influire sulla funzionalità del lobulo parietale inferiore, provocando una diminuzione della sua attività theta. Nel gruppo di stress, infatti, sono stati rinvenuti livelli di cortisolo e pressione arteriosa diastolica e sistolica decisamente più elevati rispetto all’inizio e al gruppo di controllo.

Diantonio

Stress: il nemico della bilancia

Soprattutto negli ultimi anni l’obesità è diventata una patologia sempre più comune e, talvolta, anche sottovalutata. I rischi per chi ne soffre sono molteplici:

  • malattie cardiovascolari;
  • cancro al seno;
  • cancro al colon-retto;
  • mortalità prematura;
  • cancro alla prostata.

Per tale motivo, gli scienziati cercano di prevenire lo sviluppo di questa malattia agendo su due fronti: 1) sensibilizzare le persone ad adottare un’alimentazione sana ed equilibrata e a svolgere regolarmente attività fisica; 2) cercare le cause che conducono la maggior parte della popolazione a intraprendere delle scelte alimentari e salutari decisamente errate.

L’obesità risulta ancora più comune negli Stati Uniti d’America: infatti, 1 americano adulto su 3 risulta essere obeso. Per definire una delle possibili cause di un problema tanto emergente è stato condotto uno studio da un team di scienziati americani su un campione di adulti prelevato nella città di Chicago.

Ai fini dello studio sono stati presi in esame 2.983 adulti con un’età media di circa 42 anni, di cui:

  • 1.030 sono risultati obesi;
  • 965 in stato di sovrappeso;
  • 988 in stato di normopeso o sottopeso.

Gli scienziati hanno condotto lo studio circa la relazione tra lo stress psicosociale e l’obesità, distinguendo 8 possibili cause di stress:

  • eventi acuti nella vita;
  • fattori di stress nel quartiere;
  • fattori di stress lavorativo;
  • fattori di stress di origine finanziaria;
  • avversità infantili;
  • discriminazione sul posto di lavoro;
  • discriminazione sociale (in base a etnia, reddito, stato fisico, ecc.).

Dallo studio condotto si è evinto che 4 delle 8 fonti di stress analizzate aumentano notevolmente la possibilità di soffrire della condizione patologica in esame in età adulta:

  • aver subito abusi di qualsiasi genere in età infantile;
  • soffrire di stress causato da relazioni sociali;
  • vivere in condizioni finanziarie difficili;
  • aver vissuto situazioni di stress acuto dovuto a esperienze significative.
Diantonio

Una nuova arma per combattere i tumori: il vaccino

Oggi più che mai, reduci da una pandemia mondiale ancora in corso, siamo capaci di comprendere quanto siano importanti la ricerca e lo sviluppo costante di nuove metodologie atte a prevenire o curare delle patologie potenzialmente letali.

Una delle malattie più aggressive e letali, per la quale è ancora difficile trovare una cura definitiva, è il cancro. Infatti, il tumore maligno comporta non solo il rischio di morte, ma anche una mediocre qualità di vita.

Negli ultimi anni gli scienziati si stanno impegnando per cercare di trovare delle cure selettive per questa malattia, in modo da evitare terapie che vadano a ledere anche tessuti che non sono interessati dalla patologia.

Una metodologia che potrebbe acquisire sempre più valore nella lotta ai tumori è il vaccino. Questa terapia consiste in tre fasi principali:

  • prelievo di cellule tumorali e anticorpi del malato;
  • messa a contatto di queste cellule in un lisato, in modo da scaturire la risposta degli anticorpi contro le cellule maligne;
  • iniezione degli anticorpi nel malato.

Il vaccino per il cancro ha lo scopo, quindi, di attivare la risposta immunitaria contro le cellule maligne, in modo da sconfiggere anche i tumori negli stadi più avanzati, con meno effetti collaterali.

Diantonio

Lotta ai tumori: il DNA dell’elefante nasconde un segreto

In seguito ad anni di lotta contro i tumori sappiamo bene che sono malattie che non colpiscono solamente l’uomo, ma qualsiasi animale. Eppure al mondo esistono degli animali che nonostante posseggano un numero di cellule molto superiore rispetto a quello umano, hanno una probabilità nettamente inferiore di sviluppare un tumore: gli elefanti!

Come si forma un tumore?

Un tumore è, sostanzialmente, una crescita incontrollata delle cellule dei tessuti del nostro organismo, dovuta a danni al DNA che non vengono riparati. Normalmente, cellule tumorali si formano quotidianamente nell’organismo, ma vanno incontro a morte cellulare programmata, grazie a particolari geni presenti nel nostro codice genetico: gli oncosoppressori. Quando, però, gli oncosoppressori vengono eliminati da danni al DNA o da altre cause, si sviluppa la patologia.

Il segreto degli elefanti

Gli elefanti posseggono nel proprio DNA tantissime copie del gene TP53, che è un gene facente parte della famiglia degli oncosoppressori, il quale risulta danneggiato o mutato in molti pazienti oncologici. Questo gene consente loro di eliminare più efficacemente le cellule danneggiate, prevenendo in tal modo la proliferazione cellulare incontrollata, che è alla base dei tumori maligni.

Diantonio

Batteri: una minaccia per la fertilità maschile

Nel mondo sono tantissime le coppie che non riescono ad avere figli. Le cause di questo avvenimento sono principalmente 3:

  • infertilità maschile;
  • infertilità femminile;
  • infertilità di coppia.

Circa il 50% dei casi è da attribuirsi alla prima causa.

Qual è la fonte dell’infertilità maschile?

I fattori che possono condurre a un danno dei tessuti del sistema riproduttivo maschile e alla conseguente infertilità sono molteplici:

  • salute dell’individuo;
  • abitudini e ambiente;
  • patologie specifiche;
  • infezioni batteriche o virali.

Quest’ultima causa è alla base del 10% dei casi di infertilità nei paesi maggiormente sviluppati e circa del 50% in paesi in via di sviluppo.

Come può un batterio causare l’infertilità nell’uomo?

I batteri sono dei parassiti che occupano quotidianamente il nostro organismo, il quale, al fine di difendersi, adotta una serie di strategie atte a eliminare il patogeno indesiderato.

Quando un batterio si insinua nel sistema riproduttivo maschile le cellule di questi tessuti mettono in atto due principali risposte:

  • stress ossidativo: condizione in cui viene spezzato l’equilibrio fisiologico tra distruzione e formazione di particelle ossidanti;
  • autofagia, processo in cui le cellule degradano proteine e componenti citoplasmatici, con l’obiettivo di sostenere la risposta immunitaria.

Lo stress ossidativo risulta essere una valida risposta contro i patogeni, ma quando questa condizione persiste (nel caso in cui i batteri risultino molto resistenti) si ottengono danni alle gonadi, che conducono principalmente a difetti genetici negli spermatozoi e a una scarsissima efficienza della spermatogenesi.

Quali sono i batteri più pericolosi per la salute riproduttiva maschile?

Tra i batteri che causano una risposta ossidativa più elevata vi sono:

  • Chlamydia trachomatis, responsabile della clamidia;
  • Neisseria gonorrhoeae, che provoca la gonorrea;
  • Escherichia coli, che è il più pericoloso.
Diantonio

Antiossidanti: una nuova cura per il Parkinson?

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa che comporta una perdita lenta ma progressiva del controllo dell’equilibrio e dei movimenti.

Questa malattia è classificata come appartenente alla famiglia dei Disordini del Movimento, di cui ne è la prevalente in numero di casi mondiali: si stima, infatti, che circa l’1% della popolazione mondiale con un’età che supera i 65 anni ne sia affetta.

Origine del disturbo

Gli studi effettuati su questa patologia sono molteplici, come si evince dai numerosi articoli scientifici presenti sull’argomento. Lo stress ossidativo, un processo che viene utilizzato normalmente dall’organismo per proteggersi dai patogeni, sembra svolgere un importante ruolo nello sviluppo della malattia, portando a diversi danni alla materia grigia del cervello, tra cui:

  • danni al DNA delle cellule cerebrali;
  • danni alle proteine, fondamentali per il corretto svolgimento di molteplici funzioni fisiologiche;
  • danni ai lipidi, componenti essenziali delle membrane cellulari e macromolecole fondamentali per l’efficienza degli impulsi nervosi.

Possibili rimedi

Molti studi oggi si concentrano sulla somministrazione di antiossidanti in pazienti affetti dal morbo di Parkinson, come la vitamina C, la vitamina E, il beta-carotene o nanoparticelle aventi funzioni antiossidanti.

Nonostante l’utilizzo degli antiossidanti per la cura del Parkinson sia in fase di studio, la loro integrazione corretta nella dieta quotidiana risulta fondamentale per la prevenzione della malattia.